Riparare i viventi di Maylis de Kerangal

La nostra recensione

Il romanzo dell’autrice francese Maylis De Kerangal tratta un tema molto doloroso, in grado di risvegliare in ognuno di noi una paura assoluta e accecante: la perdita di un figlio. Il giovane Simon Lambres, nemmeno ventenne, è un ragazzo pieno di vita e di aspettative. Dal padre ha ereditato una passione travolgente per i viaggi, lo sport, la natura e, soprattutto, per il surf. La bellissima e iconica immagine in copertina rappresenta un ragazzo nel pieno della sua vitalità e bellezza, il suo giovane corpo proteso in avanti immortalato nell’attimo perfetto in cui si appresta ad affrontare l’onda. Simon vive per momenti come questi, per le chiamate degli amici che lo avvertono che quella è la notte giusta, in cui le onde sono perfette per una sessione di surf da non dimenticare. È in una di queste nottate memorabili, fatta di onde, scherzi e risate, che Simon incontra il suo crudele destino, per colpa di un colpo di sonno che fa sbandare l’auto e per la banale mancanza di una cintura di sicurezza che avrebbe potuto salvarlo. Rapidamente si passa dalla spensieratezza alla tragicità. La narrazione di De Kerangal diventa un torrente, una valanga, toglie il respiro al lettore che si trova velocemente trasportato nelle corsie asettiche di un ospedale, seguendo i passi barcollanti di una madre disperata che tenta di aggrapparsi alla più flebile speranza. La prospettiva di addentrarsi in una lettura così drammatica ha probabilmente spaventato alcuni partecipanti del nostro gruppo di lettura che non sono riusciti a portare a termine il romanzo. Ma per tutti gli altri, “Riparare i viventi” è stata una lettura indimenticabile. L’empatia è una delle parole chiave di questo romanzo. Impossibile non immedesimarsi e tremare assieme alla madre Marianne mentre sussurra la stessa incessante preghiera; impossibile non emozionarsi per l’abbraccio disperato, forte da fare male, con cui Marianne accoglie Sean, il padre di Simon, in cerca di un qualche conforto. Ma “Riparare i viventi” è un romanzo corale e l’empatia guida le azioni di tante persone che si muovono attorno a Simon e ai suoi famigliari: i genitori degli amici sopravvissuti all’incidente, gli infermieri e i medici del reparto di terapia intensiva e l’equipe che esegue l’espianto degli organi. Ognuno di loro si prodiga in gesti e in parole che tentano, invano, di lenire un insormontabile dolore. I rapidi ma efficacissimi scorci che l’autrice apre sulla vita privata dei vari personaggi servono anche a riprendere fiato durante la lettura, aprendo delle finestre sulla vita che continua, nonostante tutto. Il confine, altro tema fondamentale del libro, tra la vita e la morte viene infine varcato nel momento in cui i genitori prendono, in nome di Simon, la decisione fondamentale: “È donatore”. Una frase fortissima che segna l’accettazione della fine ma anche la possibilità di donare una speranza ad altri nel bisogno. “Seppellire i morti e riparare i viventi” è la memorabile frase tratta dal “Platonov” di Čechov che ispira il titolo del libro ed è anche il mantra del personaggio più apprezzato dal nostro gruppo di lettori: l’infermiere Thomas Remige. Una volta che le tentate cure e poi l’espianto degli organi di Simon sono stati portati a termine, è lui a prendersi cura del corpo del ragazzo con gesti e attenzioni che sembrano provenire da rituali funerari antichissimi e ricordano da vicino le cure riservate agli eroi nella mitologia greca. In molti si sono commossi per quei nomi sussurrati all’orecchio di Simon e per quel canto sommesso con cui Remige ha voluto accompagnare il corpo del ragazzo, con l’intenzione di ridargli integrità e dignità. “Riparare i viventi” è una lettura che molti di noi ricorderanno a lungo. È potente e spietata, come richiede un argomento delicato come il trapianto d’organi, ma anche certamente necessaria se si vuole tentare di guardare dentro l’abisso di un tema che la nostra società preferisce rifuggire.