La chiamata di Galandon e Mermoux
Partiamo dalla copertina: sfondo completamente nero, una luce che viene dallo schermo di un computer acceso che illumina una donna triste, seduta sul divano. Dietro di lei, la sua ombra incombente e minacciosa.
Questo è lo stato d’animo in cui è sprofondata Cécile alla notizia che il figlio si è convertito all’Islam ed è partito di nascosto per la jihad. Un breve video inviatole per posta da Istanbul mostra il suo Benoît “felice come non mai” che confessa questa sua scelta, “la chiamata” appunto.
Pagina dopo pagina di “La chiamata” (Mondadori), la madre cerca di indagare sugli ultimi mesi trascorsi dal figlio nel piccolo paesino in Francia in cui vivono, parlando con i suoi amici e conoscenti, guardando nel computer di Benoît, per capire i motivi di questa decisione.
È un punto di vista interessante quello proposto dalla scrittura di Laurent Galandon, che non si sofferma sul presente del ragazzo in Siria (quello che sappiamo di lui lo conosciamo nello stesso modo della madre, fra poche telefonate e qualche altro video) ma si focalizza su Cécile.
Ci immedesimiamo in lei, nell’angoscia della sua impotenza, nei sensi di colpa, nelle domande senza risposta, fra i tanti “Perché?”, “Potevo impedirlo?” e “Cosa posso fare per farlo ritornare?”.
I disegni di Dominique Mermoux sono semplici e molto espressivi, un bianco e nero inframezzato da tavole color seppia nei momenti dei flashback.