Il Duca di Matteo Melchiorre

La nostra recensione

“Il Duca” è stato apprezzato dalla maggioranza del nostro gruppo di lettura. Fin dalle prime righe la scrittura colta ed elegante di Matteo Melchiorre ha colpito positivamente i lettori, promettendo una storia con il respiro di un classico, difficile da collocare nel tempo. La voce narrante, d’altronde, deve adeguarsi al rango sociale del protagonista, l’ultimo erede di una nobile casata ormai sul punto di disseccarsi, ma che per secoli ha prosperato nella zona. L’ultimo conte di Cimamonte è uno spaesato superstite che, dopo aver ereditato una considerevole fortuna, decide di trasferirsi dalla città al piccolo paesino di Vallorgana, nella villa di famiglia. Nella villa, un’imponente e sfarzosa residenza ormai abbandonata da decenni, il conte, chiamato dai paesani “Il duca” con tono di scherno, conduce una vita ritirata, tra lo studio degli archivi storici (una grande passione che condivide con lo scrittore) e qualche blando lavoro di manutenzione nella proprietà. Al aiutarlo nella gestione della sua terra c’è Nelso Tabiola, boscaiolo eccezionale e fidato tuttofare. È proprio lui a dare un giorno la notizia che nei boschi della Val Fonda qualcuno gli sta rubando seicento quintali di legname. Quel qualcuno è Mario Fastreda, un energetico ottantenne che, nei decenni in cui i Cimamonte non si sono visti a Vallorgana, qui ha dettato il bello e il cattivo tempo, di fatto diventando “il duca” egli stesso. Lo scontro tra i due uomini sembra inevitabile e all’inizio si tratta di una schermaglia quasi innocua, fatta di sgarri sui confini, di sguardi storti e di pettegolezzi da bar. La prima metà del libro dà ampio spazio alla faida tra i due uomini, e tra le due fazioni opposte in cui si divide il paese. Molti lettori hanno trovato faticosa questa parte della storia, in cui la trama stenta a procedere e l’autore si concede numerose divagazioni di tipo storico e filosofico. Dalla metà in poi il ritmo diventa molto più sostenuto e l’attenzione torna a concentrarsi sullo scontro di poteri in atto nel paese. La posta in gioco si alza di colpo la notte in cui un annesso della villa dei Cimamonte viene dato alle fiamme; ben presto i sospetti si indirizzano sul grande nemico, Mario Fastreda. Rotti gli indugi, la lotta tra i due uomini diventa pubblica e più accesa, dando al romanzo quasi il tono di un giallo gotico. Un aspetto del libro che ha suscitato un interessante dibattito è la collocazione geografica della vicenda. Vallorgana, Valfonda, Berua, Fragolfo, Bus del Caoron: sono tutti nomi inventati, eppure, ad un esame attento, si scoprono non poche somiglianze con i luoghi in cui lo scrittore è nato e cresciuto. Nato a Feltre, Matteo Melchiorre appartiene infatti a quella mezza montagna che è molto distante dalle località turistiche e griffate di quota più elevata. La sua è una montagna dura, aspra, in cui l’unica cosa che pare mutare nel tempo è la popolazione che via via diminuisce. Anche il bosco che cresce dietro alla villa e tutto intorno al centro abitato, appare spesso come una presenza minacciosa e selvaggia che rischia di inghiottire l’intero paese e i suoi abitanti. Non c’è alcun romanticismo nella montagna abitata dal duca: ci sono fatica e sudore, c’è la lotta impari contro gli elementi della natura (come ad esempio nelle pagine che ripercorrono la tempesta Vaia), ci sono paura e superstizione. Eppure ci sono ancora persone che scelgono di vivere lassù, rinunciando a molte comodità. Alcuni partecipanti del gruppo di lettura hanno trovato il romanzo eccessivamente prolisso e, nella moltitudine dei temi trattati, fin troppo dispersivo. In generale, però, ha prevalso la soddisfazione per la scoperta di un autore decisamente interessante e capace di una prosa dal grande fascino.