Il Duca di Matteo Melchiorre

La nostra recensione

Romanzo ibrido molto articolato e stilisticamente interessante, Il Duca ha riscosso il gradimento della più ampia maggioranza del Gruppo. La voce narrante è il Duca stesso, uomo colto e raffinato dal temperamento mite e solitario che sembra appartenere ad un'epoca remota. La sua narrazione si serve di una scrittura ampia nelle descrizioni, minuziosa nei particolari ed estremamente ricca ed elegante sintatticamente e lessicalmente. Il Duca è l’ultimo superstite di un casato ormai decaduto che si è ritirato nella villa di famiglia a Vallorgana dove si immerge nella storia dei suoi antenati, traendo dagli archivi e dalle numerosa carte sempre più dettagli e rivelazioni sui Cimamonte. Ma la sua presenza e il suo ruolo improvvisamente ritrovato in paese lo pongono in contrasto con Mario Fastreda che di Vallorgana è di fatto l’indiscusso signore. Una questione di confini, all’apparenza banale, diventa tra i due un motivo di scontro aperto mosso dalla caparbietà e dalla fierezza di entrambi , con gli abitanti schierati in una faida che affonda le sue radici nel passato: la discordia si insinua nella piccola comunità. A cercare di conciliare gli animi ed evitare ulteriori inasprimenti c’è il saggio boscaiolo Nelso, uomo misurato e discreto, la cui figura è piaciuta particolarmente al Gruppo. Nulla induce il lettore a collocare storicamente il romanzo per buona parte del libro: è necessario arrivare a leggere della Tempesta, che si identifica facilmente con Vaia, per capire che la vicenda è ambientata in tempi recentissimi. Immerso in un paesaggio dai nomi fittizi che corrisponde però a luoghi molto noti allo scrittore, a quella mezza montagna feltrina che gli appartiene, il romanzo offre una descrizione dei luoghi e dei personaggi estremamente affascinante e coinvolgente. Lo snodo narrativo, con cui si scoprono le ragioni dell’animosità e del desiderio di rivalsa di Fastreda, mette in luce tutta l’abilità dello scrittore nel cogliere il sentire umano: non è più solo una questione di confini territoriali e l’antipatia immediata del lettore per Mario Fastreda si stempera trovando in lui giustificate motivazioni per il suo accanimento. Sarà Maria, con la sua entrata in scena, a scardinare una situazione che si è esasperata. E ancora una volta i confini diventano labili, si fondono, assieme al sangue che scorre nelle vene dei discendenti e che finisce con il vanificare l’appartenenza all’antico ceppo dei Cimamonte. La distruzione della Villa in fondo sta a significare la rottura con il passato che deve essere conosciuto ma da cui ci si deve separare per poi ripartire. Il Duca deciderà di rimanere a Vallorgana e di ricostruire la Villa, ma qualcosa è cambiato radicalmente: la cornacchia bianca, con la sua estraneità è scomparsa ed egli osserva il cielo assieme a Maria senza più scorgerla, a significare la sua appartenenza a quel luogo non in virtù dei suoi antenati ma per reale e profonda convinzione. Ora il Duca è a tutti gli effetti un abitante del luogo. Melchiorre utilizza mirabilmente le metafore per descrivere il vivere umano, immagini di forte impatto che ispirano riflessioni e lasciano emozioni indelebili. Un romanzo che ha conquistato ed entusiasmato i lettori e le lettrici per il mistero che arricchisce la trama, per l’ambientazione e la caratterizzazione dei personaggi ma soprattutto per la scrittura e lo stile che lo fanno avvicinare ai classici della letteratura.