Riparare i viventi di Maylis de Kerangal
La nostra recensione
Un libro che lascia senza fiato per raccontare una drammatica vicenda che si svolge nell’arco di 24 ore. Un adolescente entra in coma irreversibile dopo un incidente e attorno al suo corpo gira tutta la vicenda che diventa un pugno nello stomaco per il lettore con i suoi tragici e fin troppo realistici particolari. Il tema della donazione degli organi viene qui esposto tra dolore e speranza: una giovane vita che si spegne può permettere ad altri di sopravvivere. Di Simon apprendiamo ben poco se non che era giovanissimo, amava il surf e viaggiava su un furgoncino assieme ai suoi amici. Poi precipitiamo assieme ai suoi genitori nel baratro, in quel limbo che non è ancora morte ma non è più vita perché non c’è possibilità di ritorno. E intanto l’equipe medica incalza, pretende una decisione immediata, non lascia tempo al dolore di espandersi, alle domande di formulare risposte, ammesso che vi siano risposte possibili. Il libro è stato apprezzato da una buona parte del Gruppo per le riflessioni che induce e per il tema affrontato ricorrendo ad una scrittura rapida, incisiva e priva di punteggiatura che sottolinea l’urgenza delle decisioni così come quella di intervenire per l’espianto e il trapianto. Una narrazione che assume i tratti della cronaca allontanandosi così dalla fiction. Il lessico medico, le descrizioni fin troppo dettagliate e crude hanno diviso il Gruppo tra chi li ha trovati pertinenti e chi invece li ha vissuti come eccessivi nella costruzione di un libro che appartiene alla narrativa e non alla saggistica. Per molti questo accanimento sui dettagli chirurgici e finanche il compiacimento nel resoconto delle modalità dell’espianto sono risultati inopportuni e piuttosto disturbanti. Rispetto al dolore dei genitori e alla fragilità della vita stessa, l’autrice ci mostra da un lato la freddezza e meccanicità dell’ambiente sanitario nel trasferimento di un organo – il cuore - da un essere umano all’altro. Allo stesso tempo ci descrive un atteggiamento empatico e solidale di quello stesso personale medico, il che ha suscitato non poche perplessità nei lettori e lettrici. Il brutale ritorno alla quotidianità delle ultime righe in cui, terminato l’intervento, l’equipe medica si accorda per una birra e una bistecca al sangue ha ulteriormente diviso il Gruppo: chi ha sottolineato la mancanza di pietas e chi invece ha trovato il finale appropriato in quanto i chirurghi tornano alla loro normalità dimostrando quel distacco che è così peculiare nella loro professione. Di fatto però il libro pone l’accento sulla de-sacralità del corpo umano da parte dei medici e sul fatto che il dolore di chi rimane possa trovare sollievo nell’atto della donazione, che diventa così un modo per superare la morte del proprio caro: in fondo il cuore di Simon continuerà a battere nel petto di Claire. Molto significativa la copertina scelta da Feltrinelli che evoca il limbo in cui Simon si trova.