Luce d'agosto di William Faulkner
La nostra recensione
Il nostro primo appuntamento dopo l’estate è stato caratterizzato da una lettura non facile sia per la scrittura e lo stile dell’autore americano che per i temi narrati. La vicenda si svolge in Mississippi, nel profondo Sud degli Stati Uniti in cui la schiavitù e il razzismo sono così endemici da non sollevare nemmeno domande o dubbi in merito alle ingiustizie e alle discriminazioni che si compiono ogni giorno. L’ineluttabilità del destino dei protagonisti, marchiati da un passato di violenze e di soprusi, e l’accettazione incondizionata del Male che impregna tutto il romanzo hanno suscitato nelle lettrici e nei lettori emozioni contrastanti. Pur sforzandoci di inserire il libro nel giusto contesto degli anni della Grande Depressione americana, il libro è un tale concentrato di povertà culturale e degrado da rendere davvero ostica la lettura. Faulkner non esprime mai giudizi resta in disparte ad osservare un quadro cupo di arretratezza sociale. Il ritmo narrativo è spezzato e interrompe la continuità del racconto con salti temporali e un flusso incessante di pensieri. Una scrittura logorroica che probabilmente non è stato semplice rispecchiare fedelmente nella traduzione. Lena e Christmas sono entrambi segnati dalla violenza e dalla volontà di fuga. Leda è fin troppo ingenua nel suo candido tentativo di raggiungere Burch, il padre del bambino che porta in grembo. Christmas è un uomo segnato dalla mancanza di identità, né bianco né nero e per questo reietto, emarginato e disprezzato da tutti per non appartenere né all'una né all'altra schiera in cui è divisa la società settaria e razzista. Faulkner quasi ne giustifica la spietatezza e crudeltà per ciò che ha subito fin da bambino. Il reverendo Hightower, ripudiato dalla Chiesa per lo scandalo della moglie adultera e suicida, è un altro personaggio chiave che rimarca il fanatismo religioso e l'ossessione per la reputazione all’interno della piccola e gretta comunità di Jefferson. Un romanzo feroce, privo di pietà e di sentimenti positivi se non fosse per Byron, l’unico uomo onesto che agisce con compassione e sentimento. Tutti gli altri sono uomini che si sono arresi all’odio, tutti dannati, mentre le donne si dimostrano ottuse, arrendevoli e passive figuranti in un mondo sopraffatto dalla violenza maschile. Il delitto che si compie trascina tutti i personaggi (e i lettori) in un vortice di Male irrimediabile a cui non si sfugge. Solo l’ultima pagina apre uno spiraglio di luce, con un nuovo viaggio e l’allontanarsi di Lena e Byron da quello scenario brutale. Il fatto che il bambino non abbia un nome non è casuale secondo alcune lettrici in quanto non è segnato da un destino che, nel romanzo, sembra possa proprio essere legato al nome con cui si viene chiamati. Il Paesaggio è infine l’ulteriore protagonista del libro, arso polveroso e opprimente nella descrizione puntigliosa che ne fa l’autore. A rendere più difficile la lettura da parte di alcuni lettori e lettrici è stata la consapevolezza che la brutalità e ferocia dei suoi personaggi con il loro fanatismo razziale impregna purtroppo gran parte della società americana odierna.