Mauritius - La memoria fragile

La memoria fragile di Nathacha Appanah

La #ValigiadelLettore di questa settimana ci riporta indietro nel tempo fino ad un giorno preciso: il 1 agosto 1872 tre persone sbarcarono a Port Louis, capitale delle isole Mauritius. Erano gli antenati della scrittrice Nathacha Appanah. Madre, padre e un figlioletto di 11 anni avevano lasciato il loro villaggio nello Stato indiano dell’Andhra Pradesh, affrontando un durissimo viaggio in mare di circa sette settimane, prima di approdare a Port Louis, al tempo colonia britannica.

Erano lavoratori a contratto, “coolie” come venivano chiamati, destinati al lavoro di manovali nelle piantagioni di zucchero dell’isola. Ingaggiati con il miraggio di una vita più facile e di un lavoro più redditizio oltremare, intere famiglie indiane lasciavano di continuo il loro paese. Una volta arrivati al porto i migranti venivano identificati con un numero, diventando parte indistinta di un gigantesco ingranaggio di sfruttamento. Il contratto che legava i lavoratori ai loro padroni era di fatto una sorta di schiavitù: i migranti venivano vincolati per lunghissimi periodi di tempo al loro lavoro, cinque, dieci, a volte vent’anni. Durante questi anni la loro libertà era praticamente inesistente, raramente veniva concesso il diritto di uscire dalle piantagioni, la paga per lunghissime giornate di lavoro era misera e i soprusi e le violenze erano all’ordine del giorno.  

Dando voce al racconto dei propri avi, la scrittrice Nathacha Appanah dà voce a un intero popolo, a un paese intero e tutti i migranti che in ogni epoca e in ogni luogo hanno sfidato la sorte trovando il coraggio di aprirsi all’avvenire.

In partenza verso Port Louis e le bellissime isole Mauritius mettiamo in valigia una ciotola con due libbre di riso (poco meno di un chilo) e pensiamo che questo, e poco altro, era la povera razione di cibo concessa ai lavoratori delle piantagioni per un intero mese di duro lavoro.